domenica 11 marzo 2007

Notizia del giorno 11/03

BAGHDAD (Reuters) - Le potenze mondiali e i paesi confinanti con l'Iraq -- inclusi Usa, Iran e Siria -- hanno convenuto ieri nella conferenza a Baghdad che è vitale fermare la violenza interconfessionale che dilaga nella regione.

Ma mentre il presidente statunitense George W. Bush ha ordinato ieri l'invio di altri 4.400 soldati in Iraq, l'Iran ha chiesto il ritiro di tutte le forze statunitensi accusandole di aver alimentato gli scontri.

Al termine dei colloqui di ieri nella capitale irachena, gli Stati Uniti hanno anche annunciato che la Turchia si è offerta di ospitare una conferenza ministeriale ad aprile alla quale parteciperà il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice.

A ricordare l'urgenza del problema iracheno, due colpi di mortaio sono esplosi poco distante dalla sede della conferenza ieri, mentre in un altro quartiere della capitale un attentatore suicida si è fatto saltare in aria su un'auto uccidendo sei soldati iracheni e ferendone circa 20.

Oggi un duplice attentato nella capitale contro fedeli sciiti ha fatto almeno 29 morti.

Il primo ministro Nuri al-Maliki ha sollecitato tutti i paesi della ricca regione petrolifera a smettere di dare appoggio ai ribelli e a fare quanto in loro potere per aiutare Baghdad, dicendo che è nell'interesse di tutti fermare gli spargimenti di sangue.

"L'incontro è stato costruttivo e positivo nei fatti, nella sua atmosfera e nella sua composizione", ha dichiarato il ministro degli Esteri Hoshiyar Zebari in una conferenza stampa.

Dal 2003 decine di migliaia di persone sono state uccise in Iraq e circa 2 milioni di persone sono fuggite all'estero.

"Nessun paese rappresentato al tavolo beneficerà di un Iraq disintegrato. Al contrario, tutti ne soffrirebbero terribilmente", ha dichiarato ieri ai giornalisti l'ambasciatore Usa in Iraq, Zalmay Khalilzad.

Khalilzad ha detto di aver parlato brevemente con i delegati iraniani, ma un alto funzionario di Teheran ha precisato che non c'è stato nessun faccia a faccia con i rappresentanti degli Stati Uniti.


Il primo passo è stato compiuto: un Iraq disintegrato in almeno tre stati (uno curdo, uno sunnita e uno sciita) sarebbe un fattore destabilizzante per l'intero medio oriente. Un percolo per tutte le potenze regionali e non solo.
Dalle varie dichiarazioni però non sembra che si sia andati oltre la definizione dell'obiettivo, tra l'altro abbastanza scontato.
Gli Stati Uniti vogliono più truppe, l' Iran ritiene che sia il caso di un ritiro americano.
Il fatto è che l'obiettivo dichiarato sembra essere condiviso da tutti, ma le sfumature sono diverse da stato a stato.
Gli Stati Uniti vogliono ottenere un successo senza cambiare troppo le modalità di azione: rischiano una grave perdita di prestigio sul piano internazionale e sul piano della politica interna; un ritiro senza onore sarebbe fatale per il partito repubblicano in vista delle prossime elezioni. L'Iran vuole un Iraq unito, ma debole; un paese, da inserire facilmente nella propria orbita come già fatto con la Siria. L'Arabia saudita e gli emirati sperano in un Iraq sunnita che sia anche filoamericano. La Turchia non vuole lo smembramento perchè teme la nascita di uno stato curdo che potrebbe rivendicare territori turchi.
Se questo è il panorama allora è difficile che si arrivi davvero ad un accordo, più probabile che ci si limiti a non far degenerare le cose in una guerra civile.
Purtroppo la parte in causa più importante, il popolo iracheno, non riesce ad imporre la propria volontà di tornare ad una situazione di normalità.

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