domenica 17 febbraio 2008

Il rischio è il mio mestiere (parte 1)

Cosa hanno in comune un concorrente di “Affari tuoi”, una grande multinazionale di calzature, un ragazzo adolescente e un piccolo roditore?
In questo e nel prossimo post vedrò se riesco a trovare la risposta a questa domanda.

Partiamo dai pacchi. Al gioco “affari tuoi” il concorrente rimane con due soli pacchi da aprire: 500’000€ e 10 cent. Il “dottore” offre 150’000€...e il concorrente accetta.
Aveva davanti a sé due alternative: decidere di aprire il pacco (situazione aleatoria) oppure accettare l’offerta (situazione certa). Se avesse aperto il pacco avrebbe potuto vincere o 500’000€ o dieci centesimi, in media, quindi, 250’000€.
Notate che 500’000€ e 10 cent hanno la stessa probabilità di uscire (1/2) e quindi se l’esperimento potesse essere ripetuto infinite volte avremmo alla fine che le due alternative sono uscite più o meno lo stesso numero di volte, con una vincita media di 250’000€. Ma...al gioco dei pacchi c’è solo un tentativo. Nonostante quelle due alternative “valgano” 250’000€ il concorrente ne accetta 150’000. Pur di liberarsi dall’elemento di rischio (apro il pacco rischiando in questo caso di vincere 10 cent) il concorrente è disposto a rinunciare a 100’000 di valore atteso.
C’è qualcuno tra voi che non avrebbe accettato l’offerta del “dottore”? Credo di no. Il “dottore” conosce infatti uno dei postulati alla base di tutta una branca della matematica finanziaria: ogni soggetto è avverso al rischio.
Cosa vuol dire essere avversi al rischio? Una definizione intuitiva la potete ricavare dall’esempio preso da “affari tuoi”: un soggetto è avverso al rischio se nel processo di scelta dà più peso agli eventi negativi che a quelli positivi.
Il concorrente di “affari tuoi” infatti teme il vincere 10 cent più di quanto non sia attratto dal vincere 500’000€, per questo opta per una “svantaggiosa” via di mezzo: i 150’000€.
Se per lui fosse stato indifferente, se avesse dato pesi uguali (ma opposti) avrebbe accettato solo offerte dai 250’000€ in sù.
Dare più peso agli eventi negativi che a quelli positivi ci porta a preferire quelle situazioni certe che ai nostri occhi appaiono comunque non troppo svantaggiose; ci porta quindi a evitare, quando possibile, l’elemento di incertezza.
Abbiamo detto che questo dell’avversione al rischio è uno dei postulati della matematica finanziaria...a questo punto possiamo chiederci se sia razionale dare per scontato un fatto come questo. Ok, il concorrente ha accettato i 150’000, ma davvero dietro c’è una tendenza che è propria di tutte le persone?
Penso che possa venirci in soccorso la biologia.
Guardiamo infatti la questione con l’ottica più spietata della sopravvivenza. Immaginiamoci un piccolo roditore che deve uscire dalla tana per andare in cerca di cibo. Quale percorso sceglierà l’animaletto? Il rischio a cui va incontro è quello di trovare un predatore, quello che cerca di ottenere è tornare alla tana con lo stomaco pieno.
Sicuramente questa situazione presenta delle analogie con quella del giocatore di “affari tuoi”: c’è un qualcosa a cui il soggetto aspira (cibo/denaro) e c’è qualcosa che il soggetto teme (predatore/10 cent).
Come si comporterà il topolino? In questo caso nessuno verrà a offrirgli la via di mezzo “poco cibo, ma dentro la tana così non sei costretto a uscire”. Il topolino cercherà di spostarsi lungo percorsi stretti, con vie di fuga, al riparo... percorsi che con tutta probabilità saranno anche meno ricchi di cibo perché toccano punti più nascosti. Possiamo immaginarci che in questo modo il topolino si costruisca la sua “via di mezzo non troppo svantaggiosa”.
L’avversione al rischio trova spiegazione in particolare nel fatto che nella vita raramente c’è il “secondo tentativo”. Se il topo incontra il gatto é difficile che non venga mangiato; il concorrente di “affari tuoi” non avrà un’altra puntata a disposizione; chi investe i propri soldi e perde tutto...non avrà più niente da investire. Insomma, sempre meglio fare attenzione!
Se questo ragionamento è corretto allora l’avversione al rischio può davvero essere considerata una tendenza “innata”.
Qui si conclude la prima parte del post, nel prossimo parlerò della multinazionale e del ragazzino.

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